"La pratica dell'alpinismo e della montagna in generale rappresenta una delle massime espressioni che l'uomo ha inventato per il proprio piacere, sia fisico che intellettuale. Purtroppo negli ultimi decenni il suo significato morale e culturale si è andato logorando.
[...] Ancora in un passato recente l'alpinismo era concepito soprattutto come appagamento interiore, e a tutti appariva chiaro che il gesto in sé di scalare picchi e pareti, per quanto vivo e pregevole, non potesse contenere la filosofia della montagna... Misurarsi con le difficoltà di una cima significava compiere una profonda indagine del proprio io. Ovviamente in tutto questo era implicito un confronto con gli altri votati allo stesso genere di imprese. E poiché era alle cime di imponenti montagne che ci si volgeva, si scopriva di trovarsi in perfetta comunione con la natura. [...]
Andare in montagna non dovrebbe aver altro significato che quello di una ricerca, mai di una fuga perché a un certo momento bisogna saper rientrare nella propria individualità e nei propri sentimenti: il solo spazio possibile, prima del vuoto. La montagna dovrebbe dunque preparare ad andare più lontano. L'alpinista dovrebbe saper captare le cose, arricchirsene. Ha i mezzo per farlo, avendo conosciuto ampi spazi e la responsabilità dei propri atti. L'alpinismo è assai più che una tecnica, è assai più di un record e di una collezione di cime. Non basta saper aggredire una montagna, la curiosità e la riflessione sono ben più importanti per anticipare, per capire e per sentire. Far lavorare solo i muscoli e il cronometro, in montagna, sarà anche un bel gioco divertente, come sostiene qualcuno, ma ha ben poco a che vedere con l'avventura creativa. [...]
Proprio oggi che il culto dell'avventura è tale da indurre a comprarsela preconfezionata, sorprende constatare come si possa arrivare a considerarla come un tabù da abbattere. [...]
L'avventura non può più manifestarsi là dove nell'uomo scadono l'ingegno, l'immaginazione, la responsabilità; là dove si demoliscono, o almeno si banalizzano, fattori naturali come l'ignoto e la sorpresa. E ancora non può sussistere avventura là dove vengono alterate, persino distrutte peculiarità come l'incertezza, la precarietà, il coraggio, l'esaltazione, la solitudine, l'isolamento, il senso della ricerca, il gusto dell'improvvisazione, del mettersi alla prova con i propri mezzi, e non ultimo, senza più inventiva. Tutte cose che oggi sono ormai represse o addirittura cancellate nel quotidiano. L'avventura è un impegno che coinvolge tutto l'essere e sa cavar fuori dal profondo ciò che di meglio e di umano è rimasto in noi. Là dove il "mazzo" non è stato truccato per vincere ad ogni costo, esistono ancora il gioco, la sorpresa, la fantasia, l'entusiasmo della riuscita e il dubbio della sconfitta. Dunque l'avventura. [...]
L'avventura è tutto ciò che accende la fantasia. Ciò che conta non sono tanto le scalate eclatanti, ma l'umana avventura, il saperla creare indipendentemente dagli esiti. Soltanto così l'uomo, frutto delle proprie esperienze e della propria sensibilità, crescerà. E in questa crescita anche gli splendidi paesaggi in cui egli si muove, si dilateranno, quasi prodigiosamente, dando più spazio all'immaginazione e materia ai propri sogni. L'impossibile e l'ignoto sono grandi dimensioni della montagna, non dovremmo sopprimerle. Dovremmo invece misurarci con esse e farlo con mezzi naturali, dettati dalle nostre limitazioni fisiche. L'impossibile bisogna saperlo vincere, non abbatterlo. Sono la mente retta e il cuore saldo che portano lontano, non certo la sola forza atletica. [...]
Anche l'ignoto, come l'impossibile, è una componente preziosa dell'avventura. Affrontarlo vuol dire porsi in diretta competizione con le proprie incertezze e la precarietà. L'ignoto corrode dentro. Con l'ignoto dinnanzi a sé le difficoltà lievitano, mentre i limiti si contraggono. [...]
La curiosità è un altro elemento molto importante per arrivare ai grandi spazi. A questo riguardo vorrei azzardare che è la curiosità ad avere creato l'uomo... Lo spazio, in tutta la sua complessità, è una necessità insopprimibile per l'essere umano. Tuttavia credo non occorra andare sul K2, in Antartide, o in Amazzonia per sentirsene tanto attorno. Il mondo di Livingstone è finito, sembrano ormai leggenda anche le epopee di Amundsen, Scott, Nansen. Il presente invece - che contrasto! - non appare che un frenetico mutare di situazioni, di mezzi, di metodi, presto anche di mondi. Ma fino a quando l'uomo conserverà la sua preziosa capacità di sognare, ebbene, dinnanzi a sé indietreggeranno tutti i limiti e i condizionamenti. Noi facciamo dei sogni, la nostra immaginazione ci dà delle idee; si tratta di sapere se riusciremo a materializzarle oppure no. Ma per saperlo dobbiamo agire in quella direzione. [...]
Non confondiamo l'avventura con lo spettacolo, con il business che ne deriva. Non confondiamola insomma con qualche tipo di imbroglio e persuadiamoci anche che in questo nuovo e crescente desiderio generalizzato di inconsistente avventura, quasi sempre ci troviamo di fronte, più che ad avventurosi e ai loro fan, a vittime di una certa politica dell'avventura"
(Walter Bonatti, Relazione di apertura del Congresso Internazionale "Montagna Avventura 2000 - URSS e Occidente, tradizioni e traguardi a confronto", dell'11 dicembre 1989).
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