martedì 7 agosto 2012

Benuzzi l'africano

Felice Benuzzi
Felice Benuzzi - triestino, alpinista con l'amico Comici, prigioniero in Africa nel campo britannico n. 354 - vide un giorno dal luogo in cui era detenuto il Monte Kenya (5199 m.) e progettò una folle fuga: nel 1943, insieme ad altri due compagni, dopo otto mesi di silenziosa preparazione, evase dal campo per 17 giorni e tentò, con mezzi di fortuna, praticamente senza viveri, vestiario ed equipaggiamento, privi di allenamento, la scalata del monte. Stremati, i tre fuggitivi dovettero accontentarsi di quota 4985 della Punta Lenana. Tornati al campo stravolti, dopo aver issato il tricolore sul Kenya, vennero puniti dal comandante che, ammirato, ridusse la punizione a 7 giorni anziché i 28 previsti. Benuzzi racconterà l'intera vicenda in No Picnic on Mont Kenya. Questo in breve. In realtà non basterebbe un libro per onorare l'uomo Benuzzi e l'alpinista Felice.

Autore di un'impresa alpinistica epica e senza confronti dal punto di vista letterario, Benuzzi inizia il suo racconto con il viaggio di 36 ore che lo conduce nella distesa di baracche di lamiera sul rovente altipiano africano. Dal campo, una mattina, scorge la mole del monte Kenya, un cinquemila "argenteo, circonfuso da nubi, tagliente, aguzzo, intasato da ghiacci che scintillano azzurrini". Benuzzi rimane stregato dall'idea di salire su quel monte e si risveglia in lui l'idea di elevazione, di libertà. Ma "più esaminavo l'idea di tentare la scalata al Kenya, più trovavo difficoltà insormontabili, impossibilità vera e propria, e mi riaffermava nella sua macina il presente. Troppe cose: condizioni fisiche, compagni, mezzi, cognizioni che non avevo e non potevo avere! No, lasciar correre era l'unica. Aspettare e aspettare, in bestiale acquiscenza, all'immediato". La vita al campo altro non era che "Automatismo. Determinismo. Subordinazione assoluta. Vuoto. Vorresti colmare questo vuoto, ma il pensiero ti si sfalda...".
Inizia così una storia 'assurda', l'atto di fede di Felice, la sua splendida storia d'amore per la montagna e per la libertà. Il prigioniero Benuzzi trascorre mesi di segreta organizzazione: trova due compagni adatti, Giovanni Balletto detto Giuàn, pratico di montagna e destinato a stare in cordata, e Vincenzo Barsotti, privo di pratica alpinistica ma ricco di entusiasmo, l'uomo buono per il campo base; come fonti di riferimento, un vecchio libro di missionari che nel 1933 salirono sulla Punta Lenana e un'etichetta di una scatola di carne raffigurante il versante sud del monte Kenya; due coperte riadattate da un ex-sarto per il vestiario necessario sui cinquemila metri; due picozze ricavate dall'adattamento di due martelli; razioni di cibo detratte pazientemente dalle razioni giornaliere ricevute al campo.
Il Monte Kenya
L'avventura iniziò il 24 gennaio 1943.
Chi vorrà immergersi nel libro di Benuzzi troverà tutti gli ingredienti per necessari per trasformare un sogno in impresa:
- la fuga attraverso il reticolato del campo;
- la paura, tanta paura, terrore di belve feroci (leoni, leopardi, branchi di dingo, rinoceronti impazziti...);
- gli indescrivibili spettacoli di albe e tramonti infuocati;
- il poetico incontro con l'elefante;
- la sofferenza ed il logoramento della fame e dello sforzo fisico estremo;
- la delusione del primo, vano, tentativo di ascensione alla Punta Batian (5195 m.);
- il drammatico rientro al campo base sotto i colpi della tormenta di neve;
- lo sguardo ghiacciato della morte per assideramento e sfinimento;
- l'orgogliosa rivincita sulla Punta Lenana, seconda cima del monte Kenya, poco sotto i cinquemila metri;
- il viaggio a ritroso in condizioni disperate verso il campo di prigionia;
- l'agognata punizione della cella di rigore (28 giorni ridotti a 7 dall'ufficiale inglese, ufficialmente per 'buona condotta'  ma in realtà per 'eccezionali meriti sportivi');
- l'emozione dei ricordi fissati nel racconto, stilato da Felice in italiano ed in inglese, nei giorni successivi di prigionia (in Italia il libro otterrà un 'successo di stima', in Inghilterra sarà un boom letterario di critica e pubblico mai raggiunto prima da un libro di montagna).
Mi piace riportare qui solo un piccolo brano del libro, il racconto dell'arrivo sulla Punta Lenana:
"Con passo esitante, chissà perché profondamente turbato mi avvicinai all'ometto di sassi che segnava la vetta del Lenana; ma prima di giungervi mi fermai. Volevo arrivarci insieme a Giuàn che aveva diviso fraternamente con me ansie, pericoli, gioie ed emozioni di questa strana spedizione.
Finalmente mi raggiunse, la picozza sotto il braccio.
Ci guardammo, e leggemmo negli occhi quello che non potevamo esprimere a parole.
Muti arrivammo insieme là, donde non si sale più".
È il momento sublime, uno di quei rarissimi momenti che segnano l'esistenza, caratterizzati da una felicità incontenibile, inspiegabile. Raggiunta la cima, i prigionieri numero 41304 e 762, appaiono svuotati da ogni impressione e sentimento. In realtà, il loro essere viene invaso e il tutto sublimato in uno stato d'animo capace di annullare ogni altro impulso. Lassù, i due, issarono il tricolore:
"... E mentre guardavo un brivido mi corse per la schiena come se avvenisse qualcosa di soprannaturale; si levò da su una brezza e il drappo, che già pendeva inerte, fremette, prese vita. Ecco un lembo si solleva... La brezza diventa vento... il sangue martella nelle tempie... crescendo musicale, il vento delle altezze aumenta d'intensità... Ecco, il rosso si spiega... il bianco... il verde; un attimo e il bianco rosso verde si distende, si gonfia sbatte garrisce, schiocca libero, libero, libero! E sventola in direzione nord, verso il campo, ove fummo prigionieri, verso l'Italia!"

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