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Michel Paccard |
L'8 agosto 1786 Michel Gabriel Paccard raggiunge la
vetta, seguito da Jacques Balmat che se ne assunse la gloria.
Un articolo di Umberto
Pelazza pubblicato sulla rivista L'Alpino (settembre 2002)
Nell'anno internazionale della montagna, una diretta
di oltre due secoli fa ci introduce nel vivo delle vicende che hanno portato
alla conquista della vetta più alta delle Alpi e dato origine all'alpinismo
moderno. La dobbiamo al cannocchiale cui rimase incollato un giorno intero il
barone prussiano Adolf von Gersdorff, di passaggio a Chamonix, e alla teutonica
precisione del resoconto che ne seguì, integrato dall'intervista col vincitore.
“Ho sentito dire che il dottor Paccard, insieme a un giovanotto di nome Jacques
Balmat... partito ieri a mezzogiorno, ha pernottato in una capanna di
pastori... ed stato visto oggi mentre saliva”.
È l'8 agosto 1786: da pochi decenni le montagne si
sono scrollate di dosso draghi e grifoni, i fragili e ingombranti barometri dei
pionieri annunciano i primi scricchiolii e le ascensioni stanno per diventare
fine a se stesse. Hanno ripreso il cammino all'alba e attraversato la Mer de
Glace... sono saliti su ripide pareti di neve e ghiaccio hanno superato
parecchi crepacci coperti di neve fresca che allora non si sondavano con la
dovuta attenzione (la piccozza era sconosciuta, sostituita a volte da un'ascia
per gradinare). Se erano aperti si varcavano per mezzo di scale, indispensabili
per le comitive, o alla bell'e meglio, con i lunghi bastoni ferrati appaiati a
mo' di ponticello. Contro le valanghe ci si affidava al buon Dio. I nostri due
eroi calzavano scarpe chiodate e ghette; non avevano la corda, considerata da
molti un ripiego umiliante e ingombrante.
La silhouette
del Monte Bianco era comparsa per la prima volta nella Pesca miracolosa, dipinto del XV secolo conservato nel museo di
Ginevra, la città dove uno studioso di ricca e aristocratica famiglia, H. de
Saussure, già nel 1760 aveva promesso una ricompensa a chi avesse scoperto per
lui e il suo barometro la via per giungere alla vetta. I tentativi si
susseguirono per anni. Chiamato così dal 1744, il Monte Bianco si innalzava nel
bel mezzo del montuoso Regno di Sardegna: i sovrani di Casa Savoia, i portieri
delle Alpi, ne erano quindi i legittimi proprietari, ma assolutamente incuranti
della sua esistenza. Il loro suddito ventinovenne Michel Gabriel Paccard, la
cui partenza aveva preso tutti in contropiede, era uno chamoniardo puro sangue,
laureato in medicina all'Università di Torino e medico del Comune. Appassionato
di flora e geologia alpina, gran camminatore, aveva percorso in lungo e in
largo la valle dell'Arve con cacciatori di camosci e cercatori di cristalli, a
volte riuniti in una sola persona, come nel caso del ventiquattrenne Jacques
Balmat (anche sfortunato cercatore d'oro), ben presto adocchiato come portatore.
Continue e meticolose osservazioni col cannocchiale gli avevano suggerito un
ben definito itinerario.
Fecero sosta verso mezzogiorno e a un certo punto
Balmat si mostrò titubante: voleva tornare indietro perché la figlia di pochi
giorni era malata. Paccard, che non ne era al corrente, non voleva prestargli
fede e con fatica convinse il compagno a proseguire. Dovrà ricredersi: la
piccola Judith morì lo stesso giorno. Si tengono a sinistra sulla dorsale
dietro la quale scompaiono per ritornare visibili sotto grandi rocce. Alle 17
si fermano un poco e si rimettono in movimento alle 17,45; ogni tanto si
riposano e si danno il cambio in testa. La cima non lontana e gli spettatori,
accalcati sul poggio-osservatorio che sovrasta Chamonix, vedono distintamente
Paccard alleggerire Balmat di parte del carico, inseguire invano il suo
cappello che ha preso il volo verso l'Italia e proseguire di corsa verso la
vetta, che raggiunge alle 18,23, mentre il portatore, che lo segue zigzagando,
arriva subito dopo. Son passate 14 ore e mezza dalla partenza. Prendono
possesso della sommità piantando nella neve un bastoncino con un fazzoletto
rosso annodato, tentano invano di trovare un riparo dal vento o di mandare giù
l'arrosto indurito dal gelo; fallisce anche il tentativo di misurare la quota
raggiunta a causa di un'anomalia del barometro. Nessuna frase da tramandare ai
posteri: della giornata rimarrà una sola telegrafica annotazione del vincitore
a rientro avvenuto: “Nostro viaggio dell'8 agosto 1786. Arrivati ore 6,23 della
sera, ripartiti ore 6,57, rimasti per 34 minuti”.
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L'itinerario di Paccard e Balmat |
La discesa avviene a scivoloni, frenando e curvando a
raspa con l'alpenstock, ma la
parziale cecità provocata dal riflesso della neve costringe spesso Paccard ad
appoggiarsi al compagno. Dopo 4 ore e mezza, sotto un magnifico chiaro di luna,
si trovano davanti alla capanna da cui erano partiti all'alba e dopo una notte
di sonno irrequieto, alle 8 del mattino rientrano a Chamonix. Con Balmat, che
si precipita a Ginevra per riscuotere la ricompensa e de Saussure che lo
assolda per la sua spedizione, si chiude la parte avventurosa dell'impresa.
Ma a tingere di giallo le nevi del Bianco ecco
sopraggiungere sulla scena il guastafeste, impersonato da Marc Thodore Bourrit,
scrittore ginevrino, autodefinitosi l'infaticabile. Personaggio poliedrico, e
per certi aspetti geniale, introdotto e intrigante, aspirante alla gloria delle
cime ma incapace fino al ridicolo, punta immediatamente i suoi strali contro
l'intruso, quel medico di campagna che mette in pericolo il suo monopolio nella
gestione dell' affaire Mont Blanc. Ma
il rimedio c'è: rimuoverlo dalla scena attribuendo al povero Balmat tutto il
merito dell'ascensione. Sarebbe stato lui a tracciare la strada, lui il primo a
giungere in vetta, lui a ridiscendere per incoraggiarlo e aiutarlo: per tutta
ricompensa si è visto defraudato del compenso pattuito. Asserzioni esattamente
all'opposto della dichiarazione giurata dello stesso Balmat, pubblicata sulla
Gazzetta di Losanna: “... senza il passo da lui tenuto non saremmo mai giunti
in vetta... mi ha preso parte del carico, ha affrontato con decisione l'ultimo
pendio, dovetti correre per giungere quasi contemporaneamente a lui, mi ha
fornito il vitto e mi ha pagato”. Tutto fu inutile e lo sarà anche la relazione
di Paccard preparata per la stampa e con pretesti vari mai pubblicata (ma
l'editore era il cognato di Bourrit!). La campagna di diffamazione continuò e
contagiò a tal punto Balmat da fargli credere di essere stato veramente
truffato; uscito ubriaco dall'osteria e imbattutosi nel suo compagno
d'ascensione, cominciò a ingiuriarlo così grossolanamente che questi, persa la
pazienza, lo scaraventò a terra con due pugni. Ma dopo la morte del dottore,
avvenuta nel 1827, poté arricchire e divulgare a man salva la sua versione dei
fatti senza timor di smentite.
Balmat, inseguendo la chimera dell'oro, cadde in un
profondo dirupo e non fu più ritrovato. E de Saussure? Rimase formalmente
estraneo al contenzioso, tutto preso dalla sua ascensione, che portò
felicemente a termine un anno dopo la prima: 18 fra guide, portatori, un
cameriere personale, provvigioni da spedizione himalayana, un lettino
pieghevole con materasso. Lui in redingote: noblesse
oblige. Per oltre un secolo il conquistatore del Monte Bianco, per il mondo
scientifico che contava, sarà lui. Paccard, non pungolato da interessi al di
fuori del successo personale e Balmat, tutto teso alla notorietà e al guadagno,
cadranno al rango di apripista. A Chamonix il monumento in bronzo del
centenario della conquista, privo del vero vincitore, porta infatti la data del
1887. Soltanto all'inizio del XX secolo la scoperta del diario di von Gersdorff
e di altri documenti in vari archivi, pubblicati nel 1975 da Graham Brown e De
Beer nel volume La prima conquista del
Monte Bianco, pose fine alla querelle,
riconoscendo il primato di Paccard, confermato poi dal monumento riparatore,
erettogli nel bicentenario con la data esatta, 1986.
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