lunedì 28 luglio 2025

La strada delle 52 gallerie

Nell'anno di grazia 1917, quando il mondo era avvolto dalle spire di una guerra che sembrava non avere fine, tra le vette imponenti del Pasubio, nacque una leggenda scolpita nella roccia e nella volontà umana: la Strada delle 52 Gallerie, tra le Piccole Dolomiti e la regione dei Tre Altopiani. Non era una semplice via, ma il respiro di un'epoca, la cicatrice di un conflitto, il testamento silenzioso di uomini che sfidavano l'impossibile.

Il Capitano Leopoldo Motti, un ingegnere con lo sguardo di chi vede oltre l'orizzonte, ne fu l'ideatore. Nel cuore gli ardeva un fuoco, la necessità di dare ai suoi uomini, alle sue salmerie, un rifugio dalla furia nemica, un passaggio sicuro anche quando l'inverno mordeva e la neve seppelliva ogni cosa. Gli Scarubbi, la strada aperta, erano un bersaglio troppo facile per gli osservatori austriaci appostati come avvoltoi sul Majo, sul Toraro, sul Seluggio. Serviva un'arteria sotterranea, nascosta, inespugnabile.

Il Tenente Ingegnere G. Zappa raccolse il testimone del progetto, un giovane dall'intelletto affilato e dalla determinazione incrollabile. E quando la fortuna lo chiamò altrove, subentrò il Capitano Corrado Picone, un uomo che in quei mesi gelidi del 1917 non solo guidò la 33ª Compagnia Minatori del 5º Reggimento Genio, ma si innamorò della montagna, della sua maestosità e della sfida che essa poneva. Ricordava spesso le sue parole, come un mantra: era il risultato di "tenace volontà, di lavoro esemplare, di sacrificio e abnegazione, di commovente spirito di emulazione".

Immagina, se puoi, quei sei cento uomini: la 349ª, la 523ª, la 621ª, la 630ª, la 765ª e la 776ª Centuria di lavoratori territoriali, oltre ai minatori del Genio. Erano fantasmi di sudore e fatica, intenti a percuotere la roccia viva con martelli pneumatici, a innescare esplosivi – gelatina, cheddite, echo, salubite, vibrite, polvere nera – in una sinfonia assordante che echeggiava tra le pareti di pietra. Le loro lampade, flebili stelle in quell'oscurità primordiale, danzavano mentre scolpivano gallerie elicoidali, come la 19ª, un ventre di 320 metri che sembrava non finire mai, o la 20ª, che si avvitava su sé stessa quattro volte all'interno di un torrione roccioso, un serpente di pietra che saliva verso il cielo.

Ogni galleria, un'anima. A quota 1200 circa, la 1ª galleria dedicata al tenente Zappa, poi la 4ª a Cesare Battisti, martire irredentista, la 12ª al Capitano Motti stesso, l'architetto di quel sogno. Erano nomi, ma anche promesse, sacrifici, ideali che risuonavano nel buio umido. E poi c'erano le sfide inattese. All'uscita della 31ª galleria, la terra traditrice della Val Camossara minacciava di inghiottire tutto. Ma la volontà umana eresse due poderosi muri di sostegno, uno a secco, l'altro di pietra squadrata e malta, un abbraccio roccioso alla montagna ferita. Dalla lontana Malga Busi, come un cordone ombelicale tecnologico, giungeva l'energia elettrica per illuminare quei passaggi e l'aria compressa per i martelli, pompata attraverso tubazioni che si snodavano come vene invisibili.

Nel dicembre di quel gelido 1917, la 33ª Compagnia, stanca ma fiera, si radunò. Le parole del Capitano Picone risuonarono come un addio commosso ai loro Caduti. Poi, con un'ultima, simbolica azione, abbatterono il muro a secco che celava l'ingresso monumentale della prima galleria, svelando al mondo la loro opera. Non sapevano che altri, il Plotone autonomo della 25ª Compagnia Minatori, avrebbero terminato i ritocchi finali, raccogliendo poi gli onori del Re d'Italia e del Re del Belgio. Il Capitano Motti quel giorno non c'era: se n'era già andato il 29 settembre salendo su una mina austriaca posizionata sul Dente Italiano, su una di quelle creste dell'acrocoro sommitale del monte che tanto lo avevano visto industriarsi. 

La strada dei Scarubbi
Oggi, quella che fu la Strada della Iª Armata è un sentiero escursionistico che si inerpica da Bocchetta Campiglia fino alle Porte del Pasubio (1900 m), un viaggio a ritroso nel tempo lungo 6 chilometri e mezzo, dei quali 2,3 scavati nella roccia, con pendenze anche del 22 %. Camminando tra quelle guglie ardite e forre profonde, con una torcia a squarciare il buio delle gallerie, si sente il fruscio del vento che porta ancora l'eco di voci lontane, il rimbombo delle mine, il sudore e la speranza di quei giganti che, con la sola forza della loro volontà, scolpirono un capolavoro nella carne viva della montagna.

È un monito silenzioso, un inno all'ingegno umano e alla resilienza, un luogo dove la storia non è solo un racconto, ma un'esperienza che ti avvolge, galleria dopo galleria, fino alla vetta. E magari, all'uscita della 49ª o della 50ª galleria, aggiunte dopo, in tempi più recenti, penserai a quei Soldati Italiani o ai Cavalieri di Vittorio Veneto, che hanno camminato su queste stesse pietre, lasciando un'eredità che il tempo non può cancellare.

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