venerdì 8 luglio 2016

Monte Maniglia (3177 m.)

La lunga cresta del Maniglia (a destra)
In Val Varaita, c'è un monte con un nome "casalingo" che molti credono derivi dalla sua forma, il Monte Maniglia, un 3177 m. situato sulla destra orografica del valloncello che conduce al Colle dell'Autaret. Il nome deriva dal termine provenzale "manèio" che ne indica la forma curva. L'8 luglio 2016 ci siam saliti da S. Anna di Bellino, nei pressi del Rifugio Melezè, a quota 1830 circa: un discreto dislivello di 1300 m. percorribili in poco meno di 4 comode orette.
Da S. Anna, dunque, si risale lo sterratore che porta al Pian Ceiol (2070 m.) sul sentiero Gta che conduce al Colle di Bellino, denominato U27. Ci si inoltra in una gola detta "delle Barricate" per così giungere ai pascoli superiori, punteggiati di baite diroccate.
Si prosegue sull'evidente sentiero che corre sulla destra orografica del torrente fino ad arrivare alla Grange dell'Autaret (quota 2540 m.), una serie di baite abbandonate sparpagliate lungo tutto il pianoro erboso posto sul fondo del vallone.
Qui, come segnalato da una pietra che riporta l'indicazione "Maniglia", occorre abbandonare il sentiero che porta al Colle dell'Autaret, per imboccare una traccia che si arrampica velocemente prima sulla pietraia morenica alla base della cresta del Monte, poi su sentiero detritico, fino ad una depressione di terra e roccia rossastra detta "Bassa di Terrarossa", a quota 2804. Io, personalmente, persa inspiegabilmente l'indicazione sul masso, sono salito fin su in cresta attraverso un itinerario molto più difficoltoso, più a destra della Bassa di Terrarossa, arrampicando fra pietraie, pendici erbose e roccette.
Stambecchi in cresta
In cresta, pare che sia scontato trovare branchi di stambecchi. Così sostengono i rifugisti giù al Melezè, con ragione.
A questo punto non rimane altro che risalire la lunga cresta erboso-detritica lungo una traccia sempre ben visibile, superare l'anticima e giungere così in vetta al Maniglia.
In vetta, castelletto di pietre, libro di vetta, sublime visione sul Monviso, stambecco parcheggiato lì stabilmente.
La discesa, naturalmente, risulta molto più agevole lungo il sentiero che scende dalla Bassa di Terrarossa, perché da dove son salito io, sarebbe un suicidio. In conclusione, mattinata pioviggionosa con vento contrario, tanta fatica nel guadagnare la cresta a causa di un grave erroraccio sulla scelta del punto di salita, branco di stambecchi per nulla spaventati e avvistamento di due pernici, freddo in cresta e in vetta, pomeriggio più assolato. Ovvero, una bella giornata in alta quota.
In vetta

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