lunedì 2 dicembre 2019

La vetta di un monte...

Il Monviso
Scrive Ravasi nell'introduzione del libro Per salire bisogna crederci di Alfredo Tradigo:

"... la vetta di un monte costringe ad alzare lo sguardo verso l'alto; è come si fosse un indice puntato verso il cielo, è il rimando allo zenit e quindi alla luce, all'inaccessibilità, al mistero rispetto all'orizzonte in cui noi siamo immersi quotidianamente. Il monte, con la sua cima che sembra quasi perforare il cielo, ricalca la posizione eretta dell'uomo che si è alzato dalla brutalità della terra; è una specie di simbolo della vittoria sulla forza di gravità. Tutte le culture hanno ritrovato nel profilo verticale della montagna un'immagine della tensione verso l'oltre e l'altro rispetto al limite terrestre e tutte le religioni vi hanno letto un segno dell'Oltre e dell'Altro divino".
Nelle pagine bibliche "le montagne sacre non si ergono mai solo con finalità meramente 'orografiche', bensì con un valore simbolico e spirituale, sia positivo sia negativo. Se pensiamo, ad esempio, alle ziqqurrat, cioè ai famosi templi a gradoni della Mesopotamia, evidente riproduzione architettonica di un monte sacro (sul loro vertice si ergeva appunto il santuario-residenza della divinità), riusciamo a comprendere la simbologia sottesa al sogni di Giacobbe narrato dalla Genesi: 'Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo. Ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa' (Genesi 28,12). [...] i monti gettano la loro ombra su tutte le pagine bibliche: dall'Ararat su cui posa l'arca di Noè al Moria del sacrificio di Isacco, dal Sinai dell'esodo al Nebo della morte di Mosè, dal Carmelo di Elia al Sion del tempio gerosolimitano, dal monte delle Tentazioni di Cristo a quello delle Beatitudini, dal monte della Trasfigurazione al Golgota-Calvario sino al monte degli Ulivi che nell'ascensione di Gesù congiunge cielo e terra".

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