lunedì 25 novembre 2019

Cerro San Luis (4243 m.), Ande dell'Ecuador

Tra le alture della Cordigliera delle Ande occidentali dell'Ecuador, a 33 km dalla città di Cuenca (provincia di Azuay), c'è un piccolo ma preziosissimo gioiello: il Parque Nacional El Cajas.


La definizione di "gioiello" mi appare alquanto appropriata in quanto il Cajas, attorniato com'è da alti e severi rilievi, risulta composto al suo interno da un vasto sistema lacustre, una rete di lagune interconnesse come contenitori che giustificano, appunto, il suo nome, "scatole". Si tratta di un ecosistema composto da migliaia di corpi idrici che si raggruppano in oltre 200 lagune sparpagliate qua e là tra le sue estese valli. Non sorprende il fatto che il popolo cañaris, per  quasi 1000 anni, abbia considerato queste montagne, queste lagune, e la stessa luna che in esse si rifletteva, degne di adorazione.
È proprio questo enorme numero di specchi d'acqua - che alimenta fiumi come il Tomebamba, il Mazán, lo Yanuncay e il Migüir - il maggior apportatore di acqua potabile per le città di Cuenca e di Paute, nonché per le centrali elettriche di quasi tutto il paese. Tra le lagune più importanti - Luspa, Lagartococha, Osohuaycu, Taitachungo, Quinoascocha, Sunincocha, Cascarillas, Ventanas, Llaviucu, Angas e Tinguishcocha - ve n'è una denominata Toreadora (3900 m.). Ed è proprio qui che ha inizio la semplice ma gratificante ascensione al Cerro San Luis (4243 m.), la vetta che domina quello che appare immediatamente come uno dei bacini idrici più grandi della zona. Non dunque un'impresa alpinistica, ma piuttosto un'esperienza onirica, un'immersione nell'esagerato grande e nell'incredibilmente bello.
A pochi metri dalla carretera E582, che dalla Costa di Puerto Inca conduce alla Sierra di Cuenca, sorge dunque il Rifugio Toreadora (3960 m.), centro amministrativo del Parco, punto d'informazione e luogo di ristoro. Giunto qui il 19 novembre del 2019 con qualche amico, provvedo immediatamente a registrarmi (registrazione gratuita ma prudentemente obbligatoria) e discendo di una cinquantina di metri fino a raggiungere le sponde del lago.
Sfortunatamente non è la stagione degli uccelli migratori e nemmeno quella della sorprendente fioritura andina, ma la giornata è abbastanza soleggiata, piacevole, ventilata e, soprattutto, priva della sgradevole garúa, la pioggerellina insistente che, con la nebbia, caratterizza stabilmente il clima del Cajas. Una buona notizia pensando alle nevicate qui avvenute nei giorni precedenti.
Una volta raggiunte le sponde del lago, percorro la Route 1 (segnalata in rosso) che costeggia il bacino sulla destra, fino a portarmi a ridosso delle pendici del Cerro. Qui, una freccia segnala l'inizio della Route 2 (in verde), con una precisazione: "mas dificil". Non mi lascio certo impressionare da un cartello e comincio a risalire le prime spalle erbose della montagna. Dalla quota lago alla cima del monte ci sono circa 350 m. di dislivello. Calcolo un'oretta e, di fatto, questo è il tempo che ci impiego, nonostante il fiatone di una risalita in quota un po' scarsa d'ossigeno. Mi sorprendo del fatto di non aver dovuto mai affrontare, in questi giorni, i classici problemi dell'altitudine.
La giornata non è fredda, a dispetto di quanto paventato dagli amici cuencani, terrorizzati dal freddo e vestiti come astronauti. Il sentiero sale deciso, sempre ben visibile nonostante l'erba alta in alcuni punti. Affronto un paio di passaggi un po' rognosi a causa del terreno umido e slavato dalla solita pioggia caduta durante la notte, ma il cielo è variabile e questo aiuta a non bruciarsi sotto il sole equatoriale. Giunto in cima, condivido la superba visione del panorama a 360° con un altro escursionista belga e con gruppetto composto da una ragazza boliviana e due americani. Curiosamente, qui, la gente di Cuenca, non ci viene e neanche si sognerebbe di farlo. L'altimetro segna 4243 m., a dispetto dei 4296 riportati da qualcuno su Internet. Sono a una quota di 200 metri più alta del Gran Paradiso, di 400 m. del Monviso, eppure, quassù, ci sono piante grasse, fiori e arbusti di media taglia. Il respiro è un po' più affannoso del solito ed il paesaggio è, come dicono da queste parti, espectacular. Sulla mia testa vola un gavilán, uno di quei rapaci che trovi solo qui sulle Ande e che non puoi non provare a fotografare.
Dopo una mezz'oretta sulla vetta, decido di scendere dall'altro lato del monte, altrettanto umido, e quindi infido, proseguendo ad anello lungo il tracciato della Route 2. Questo percorso, in realtà, termina sulla carretera, a metà strada tra Toreadora ed il valico di Tres Cruces. Decido così di abbandonare la rotta e di tagliare a sinistra in direzione del lago Toreadora. Trovo tra l'erba alta alcuni sentieri, o tracce di sentieri, che mi conducono rapidamente in basso, sulle sponde della laguna. Mi fermo più volte a fotografare fiori e paesaggi e ad osservare il terreno. Il parco, in realtà, è composto da un misto di foresta nebbiosa d'alta montagna, foresta sempreverde e deserto erboso. Quasi ovunque il terreno è ricoperto da muschi e da specie arboree tipiche della foresta pluviale sub-andina. Sulle sponde della laguna domina la quinoa, l'albero detto "di carta", alto anche 8-10 m. e capace di creare foreste da sogno. Dicono che qui, in altri periodi, si possano ammirare oltre 600 specie di piante vascolari ed orchidee di diversi generi. Ma non si possono tuttavia non notare anche estese aree di Parco consumate dal fuoco.
Dalle sponde del lago ritorno rapidamente al rifugio, in tempo per evitare l'implacabile nebbia, vero spauracchio e flagello dell’escursionismo del Cajas. Ed è qui, tra le quattro mura amiche del piccolo ristorantino, che si consuma l'ultima e gratificante gioia del sentierista andino: choclo con queso e tazza di tinto (caffè). Consigliatissimo. A tutti coloro che, come me, capitassero da queste parti.

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