L'avrò visto innumerevoli volte dall'alto delle vette circostanti, l'avevo scrutato ben bene dal Meidassa, me lo ero appuntato più volte tra i progetti escursionistici... Tutti a Luserna mi dicono che l'acqua che fuoriesce dal mio rubinetto sgorga dal suo ventre, che questa montagna accessibile anche dalla Val Pellice è più amata dai francesi con la febbre da "tour" che da noi italiani... Così il 14 luglio del 2023, approfittando del passaggio in zona del caro Marco, eccomi pronto per esplorare da vicino, e di persona, la bella piramide rocciosa del Granero.
Lasciata l'auto a poche centinaia di metri dal Rifugio Barbara Lowrie (1756 m), nel Vallone dei Carbonieri, raggiungiamo il rifugio, ci beviamo un caffè, diamo un'ultima controllata allo zaino e, attraversato il torrente, cominciamo il nostro percorso di avvicinamento imboccando il sentiero 112 che conduce nel cuore della vallone del Pis. Lungo il sentiero una femmina di stambecco di color quasi bianco ci viene incontro. Qualche secondo di studio reciproco e continuiamo la nostra marcia. Affrontiamo l'ultimo ripido tratto e giungiamo rapidamente sul Col Manzol (2694 m) dove ci godiamo una meritata pausa tra le nebbie di calore che salgono dalla valle e gli squarci di sole che rassicurano l'animo. Un fugace sguardo a destra e sinistra, alle coperte cime del Manzol, del Meidassa e del Granero, al Lago Nero intrappolato sotto di noi, e cominciamo la discesa lungo l'Adret del Laus, il valloncello che ci porterà dolcemente al Rifugio Battaglione Alpini Monte Granero (2377 m).
Arriviamo al rifugio verso le 17, in tempo per una doccia calda ed una breve esplorazione dell'area. Si tratta del rifugio con la più lunga storia alle spalle dell'intero arco alpino. Ideato nel 1926 ed inaugurato nel 1928, negli anni 80 venne ampliato ed ammodernato fino a trasformarlo in una confortevolissima struttura da 50 posti, con docce calde e wi-fi. In posizione sopraelevata, il bivacco di recente costruzione per amanti dell'inverno. Poco prima di cena, ecco l'imprevisto: tre musicisti francesi, in tour attorno al Monviso con fisarmonica, violino, chitarra e tromba a seguito, cominciano il loro concerto di musiche e canti, e tra una gavotte francese ed un pezzo jazz afro-americano, ci accompagnano a cena. Il dessert è ancora meglio: alla luce del tramonto delle 20:30 e al fresco dell'altitudine, il concerto dei tre musici si sposta all'esterno del rifugio creando per gli ospiti un'atmosfera magica di incredibile bellezza.
Lasciamo il rifugio la mattina seguente alle 8. La giornata è splendida. Scendiamo lungo le rive del grande Lago Lungo, uno splendido specchio d'acqua in prossimità delle sorgenti del torrente Chisone. Qui una palina ci segnala la direzione da prendere per il Passo Seillierino e dunque per il Granero. Ci voltiamo per ammirare questo incredibile "giardino glaciale" su cui è adagiato il rifugio, composto da dossi montonati e conche di sovraescavazione, punteggiato di massi erratici e cordoni morenici. Una goduria da geologi. Sorprende l'intensità e la luminosità del color verde. La Schina d'Asu e le creste del Barsujas interrotte dai passi si riflettono nelle acque del lago e moltiplicano gli effetti della luce del mattino.
Cominciamo a risalire il sentiero lungo il filo della cresta morenica laterale chiamata in dialetto l'Isina d'Aze (la schiena d'asino). I tre musici francesi, come le fate che popolano le leggende di questa valle, ci precedono coi loro strumenti in spalla. Al bivio per il Passo Seillierino, tiriamo dritto fino ad entrare nella vasta pietraia alla base delle pendici del monte. Qui seguiamo le tacche bianco-rosse ed i numerosi ometti che ci guidano nell'attraversamento della distesa di pietre, massi erratici e pozze glaciali. Qua e là qualche sacca di neve. Gli artisti abbandonano i loro strumenti sotto un bel monolite e ci seguono nella ricerca dei bolli rosa che segnalano la pista di attacco all'ultimo canalino che scende dalla vetta. Infiliamo il caschetto e cominciamo a risalire il versante roccioso di questa imponente piramide tra pietre, detriti e sfasciumi. Troviamo alcuni passaggi di I-I+ che, superati di slancio, ci conducono fino alla base del castello finale di roccette.
Giunti al termite nel canalone ci si palesa in tutta la sua maestosità l'onnipresente mole del Re. La visione del Monviso. Adagiato sulla sella e cementato sulla roccia, un libro aperto di pietra sentenzia "Confidate in perpetuo in Dio, poiché Dio è la roccia dei secoli"; sull'altra pagina il celebre motto valdese Lux lucet in tenebris.
Il castelletto di roccette finale è l'ultimo passo alla vetta. Lo superiamo senza problemi e giungiamo così ai piedi della statua della Vergine a grandezza naturale (3170 m). Un ovale di pietra ne custodisce la dedica: "La Giovane Montagna di Moncalieri a Maria Immacolata 1958". In cima saremo una decina e ci si muove a fatica. Qualche escursionista scende, mentre un paio di arrampicatori arrivano da altri versanti.
Il ritorno a casa si svolge a ritroso sulle stesse linee percorse per venire fin qui. Ma molte cose sono nel frattempo cambiate e ce le portiamo dentro, negli occhi, nel cuore, e sul viso. Una sensazione di piccolezza di fronte a tanta grandiosità, un senso di gratitudine profonda per la vita, per il vento ed il sole, per la luce ed il movimento. Per la melodia degli strumenti ed il calore degli amici. Per la ricchezza delle differenze e la forza degli universali.
La nostra gita termina, dunque, al rifugio Barbara, tappa dell'annuale Trail Tre Rifugi, con un ricordo in più nell'anima ed una birra in mano.
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