Lascio l'auto a S. Anna di Valdieri, a pochi metri dalla Balma Meris (1000 m). Ed è proprio dal suo ingresso che comincia il mio cammino. La strada, da asfaltata e ripida diviene subito una comoda mulattiera, un selciato che alterna tratti piani a tratti in salita e che procede quasi interamente sotto un fitto bosco di latifoglie, soprattutto faggi. Si tratta di un'antica mulattiera di caccia e di pesca, tra le preferite del re Vittorio Emanuele II.
Al termine dei boschi, ecco il pianoro. La mulattiera sale dolcemente alla sinistra (orografica) del rio e attraversa i verdi pascoli del Gias del Prato, dove sorgono le antiche malghe di quota 1500 e 1700. La pendenza del cammino qui è modestissima. A sinistra scorgo gli orridi dirupi della Rocca Arcoulon, bui canaloni dove la neve staziona tutto l'anno. Le baite che qui attraverso erano le antiche case reali del Chiot. Intorno ai 1700 già posso intravvedere la bastionata rocciosa che chiude a valle il ripiano del Lago Sottano della Sella, da cui precipita una spettacolare cascata. Sulle rive del lago, a sinistra per chi viene dalla valle, oltre un comodo ponticello di legno, sorge il Rifugio Livio Bianco (1910 m), dominatore dall'alto dell'intero bacino lacustre.
Dopo una breve pausa al rifugio, ritornando sui miei passi e riattraversando il ponticello, proseguo lungo l'evidente mulattiera, a tratti sentiero e a tratti selciato, che risale il lato sinistro (sempre orografico del lago) in leggera salita. Dopo qualche tornante e un rapido passaggio sul bel gias di quota 2200, giungo nei pressi di un bivio: a destra si prosegue per l'imminente Lago Soprano della Sella (che tralascio), a sinistra si procede per il Colle di Valmiana. Ed è proprio quella la direzione giusta. La mulattiera compie un lungo traverso, con qualche saliscendi, e mi conduce in breve ad una sella rocciosa. Ora aggiro le pendici del monte, perdo qualche metro di quota e mi ritrovo nel mezzo di una immensa pietraia. Mi rendo subito contro che questo è il posto giusto per avvistare camosci: la loro presenza, quassù, è cosa certa. Poco prima di salire in direzione del Colle, presso una roccetta a quota 2460, un cartello segnaletico mi indica la direzione per le pietraie del Monte Matto.
Ora occorrerà solo più seguire i bolli blu e i numerosi ometti che dovrebbero accompagnare la mia interminabile progressione verso la vetta. In breve, mi ritrovo a risalire la zona dominata dai vari laghetti del Matto senza alcun punto di riferimento. Vado ad intuito ma mi ritrovo troppo a destra, sulla cresta, costantemente rotta, instabile. Risalgo addirittura un canalino con passi di II grado per poi ritrovarmi in un vicolo cieco. Solo dopo un'ora di fatica sprecata, decido di scendere più in basso, all'altezza dell'ultimo laghetto superiore. Qui, finalmente, vedo il traliccio di ferro porto sulla cima del Matto.
Dalla vetta, naturalmente, si vede tutto, ma proprio tutto: si vede lontano il Monviso, si vedono le punte più alte delle Marittime, si vede la Cima Argentera e quella di Nasta... si vede il mondo dall'alto, con tutto il suo verde vegetale ed il grigio della pietra, si vede il cielo con le sue bianche e leggere striature fatte di vento e di vapore.
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