domenica 29 luglio 2012

Il Tour del Monviso

Stambecco in salita sul Viso Mozzo
Nella tradizione orientale le montagne sono sempre state poste all'interno di un immaginario positivo: erano luoghi sacri e 'materni'. Non così da noi. Trascurate da scrittori, poeti e artisti, non avevano neanche nomi definitivi. I ghiacciai delle Alpi avevano addirittura familiarità con il regno delle creature del male, mostruose, inavvicinabili. Vennero metodicamente ignorate, perfino prive di cartografia fino alla metà del Settecento. Ma in questa cultura orofobica fa eccezione il Monviso - o il Viso per i piemontesi.
La vetta del Viso Mozzo, 10 luglio 2011
Fu ritenuta da sempre la cima più alta delle Alpi a causa del suo profilo regolare, triangolare, metaforico. Il suo nome significa "monte visibile" (dal latino Vesulus, Vésulo): da lui, nessuna maledizione, ma il fiume più grande d'Italia, acque che danno vita. Una montagna più orientale che alpina.
Virgilio, nell'Eneide, lo battezzò Vesulus pinifer, monte circondato dai pini. Leonardo da Vinci, qui per la cava del saluzzese, lo chiamò Monviso (secondo alcuni Leonardo collaborò alla realizzazione del traforo del Viso nel '400). Dopo Virgilio, anche Plinio il Vecchio, Pomponio, Dante e Petrarca... ebbero modo di apprezzarlo.
Il 10 luglio 2011, durante una giornata coperta, salendo verso la cima del Viso Mozzo (3019 m.) lo vedo da Est. Il versante Sud, invece, il più famoso e alpinistico dei lati ammirabile in tutta la sua verticalità, è ben visibile dal Rifugio Quintino Sella.
Parete Est del Monviso
Si presenta come un'imponente parete concava solcata da canali e interrotta da articolate cenge diagonali. I pendii irregolari e le rocce rotte offrirono agli sguardi degli alpinisti d'inizio Ottocento la chiave di salita alla cima. Già nel 1834, un tentativo di tre italiani aveva sfiorato il successo: per avversità climatiche i tre dovettero desistere a 200 metri dalla vetta. Il tabù però era caduto. A vincere la sfida furono gli inglesi William Mathews e William Jacomb, 150 anni fa, con le due guide Jean Baptiste e Michel Croz di Chamonix, attraverso un appartato vallone laterale a Sud: trascorsero una notte insonne a 3000 m. e, alle 9:20 del giorno 30 agosto 1861, giunsero in vetta. L'unico vero pericolo fu la costante caduta di sassi. La loro via è oggi la "Normale".

Il Rifugio Q. Sella

Due anni dopo fu la volta di Quintino Sella, l'alpinista a cui è dedicato il rifugio presso il Lago Grande del Viso, sotto la parete Est. Il Sella salì sul monte all'età di 36 anni. Siamo nel 1863, l'Italia è appena stata fatta ma ancora manca tutto. Il giovane Quintino desidera fondare un club di amici della montagna sul modello dell'Alpine Club inglese, nato 6 anni prima a Londra. Comprende tuttavia che occorre un'impresa che possa infondere slancio all'iniziativa. Così, con in tasca la relazione del conquistatore Mathews, decide di lanciarsi all'attacco sul Monviso con una spedizione interamente italiana. Tutto andò alla perfezione e sulla cima del monte venne presto issato un tricolore. Qualche settimana dopo fu il momento dell'atto fondativo del CAI celebrato nella splendida cornice del Castello del Valentino di Torino.
Il Monviso e il Viso Mozzo (a sinistra)
Il "Giro del Viso" invece è legato ad una figura che porta il nome di James David Forbes: in 14 ore compì per primo il periplo del Monviso non conscio, probabilmente, di essere l'antesignano del moderno trekker. Era il luglio del 1839. Docente della cattedra di filosofia naturale di Edimburgo, a lui si devono i risultati rivoluzionari dello studio sul movimento dei ghiacciai. Fino a quel momento attorno al Monviso avevano camminato soprattutto commercianti, contrabbandieri e lavoratori stagionali. Forbes rappresentò invece una figura cruciale nella storia dell'escursionismo, quello del naturalista-trekker (compì il giro del Bianco nel 1855).
Il Rifugio Giacoletti
Il Giro del Viso è un anello perfetto. Lo si può compiere in uno, cinque o otto giorni, anche grazie a rifugi come il Rifugio CAI Vitale Giacoletti (2741 m.), 56 posti letto, quasi tutti in un'unica camerata. Dal rifugio è possibile compiere escursioni di sapore alpinistico sulle punte sovrastanti come Punta Udine e Punta Roma (3070 m.), eleganti cime rocciose che spiccano sulla dentellata cresta di confine tra la Punta Gastaldi e il Monte Granero. Fui sulla Roma l'11 luglio 2011. Sulla Punta, un ammasso roccioso da arrampicare fra cengie oblique, balze rocciose, canali e costoni, mi accolse una madonnina posta su un treppiede metallico ed un libro di vetta, oltre, naturalmente, un panorama mozzafiato. Il nome Roma fu imposto alla punta da Ubaldo Valbusa che ne effettuò la prima ascensione nota con la guida Claudio Perotti, il 29 agosto 1905.
In vetta alla Punta Roma, 11 luglio 2011
Un'interessante escursione possibile dal Giacoletti è l'ascesa al Monte Meidassa. Scendendo dal Giacoletti per un ripido canalone ricco di acqua, a quota 2450 circa si incrocia il "sentiero del postino", un sentiero molto esposto ma che consente di non perdere troppo quota. Il sentiero conduce alla "Via del sale", un percorso largo e ben battuto del Giro del Viso. Dopo un primo salto di circa 150 m. si arriva al Pian Matt e si guadagna rapidamente quota fino ad una costruzione abbandonata e pericolante, probabilmente di origine militare. Da lì il sentiero conduce al Passo delle Traversette. Per il Meidassa occorre invece svoltare a destra e risalire il ripido canalone che conduce al Passo Luisas. Tra pietraie, lingue di neve e roccette, si arriva al passo e si prosegue fino in vetta tra sfasciumi e sassi accatastati dal tempo e dalle guerre (c'è ancora molto filo spinato abbandonato, arrotolato ed arrugginito).
Da sinistra a destra, il Viso Mozzo, il Monviso, il Visolotto e Punta Gastaldi
Fare un'escursione sul Meidassa significa avere la possibilità di camminare in mezzo alla storia: percorrere i sentieri della guerra, osservare il Colle delle Traversette (dove alcuni, erroneamente, pensano che possa essere passato Annibale il 26 ottobre del 268 a.C. con i suoi 26.000 uomini e 37 elefanti), esplorare il Buco del Viso, un simbolo di apertura e di cooperazione.
In vetta al Monte Meidassa, 12 luglio 2011
Il Buco del Viso fu realizzato dal marchese Ludovico II, in cerca di uno sbocco per il suo Stato. Nel Quattrocento i passi del S. Bernardo e del Moncenisio erano in mano dei Savoia, il Monginevro sotto la Francia. L'economia del Marchesato si trovava chiusa e isolata, penalizzata... e Grenoble era al di là del muro. In 18 mesi, tra il 1479 ed il 1480, vennero forati i 75 metri di roccia realizzando così il "Pertuis del Viso" con "ferro, fuoco, aceto e acqua bollente". La galleria, a 2882 m., è dunque la più antica d'Europa. Misurava 2 m. di altezza e 2,50 m. di larghezza; da essa entrava il sale, le pelli e i metalli e ne usciva vino, riso, olio di noci e manufatti per il Delfinato. Poi, per via della neve, il Buco rimase chiuso anche per due secoli. Nel 1907 il CAI lo ripulì dai detriti e nel 1997 venne ripristinato. Non è facile però trovare il versante francese pulito dalla neve.
Oltre il Colle delle Travesette vi è il Monte Losetta.
La vetta del Monte Losetta, 8 luglio 2011
Il Losetta (la P. Joanne per i francesi) è una cima di 3054 m. posta al termine del Vallone di Soustra, tra l'italiana Val Varaita e la francese Vallée du Guil. Si accede alla vetta dal Passo della Losetta (2872 m.) attraverso sfasciumi e pietraie. L'8 luglio 2011 arrivai in cima avvolto tra le nebbie e irrigidito dal freddo e se non fosse stato per la croce di ferro tubolare, probabilmente, non me ne sarei neanche accorto.

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