lunedì 24 giugno 2013

Ruskin, l'esteta delle Alpi

Scrittore, pittore, poeta e critico d'arte inglese (1819-1900)
Non è facile classificare il londinese John Ruskin: fu scrittore, artista, architetto, progettista, critico e opinionista, il tutto in modo inedito. Profondamente convinto che il genere umano avesse deviato dal suo stato naturale, si sentì a modo suo un riformatore, un socialista cristiano fermamente convinto della necessità di ritornare alle cose essenziali e ad un certo self-help. Ed è facile comprenderne il perché: con il 1850, il sistema industriale era ormai una realtà profondamente radicata in tutta la Gran Bretagna; ogni angolo del Paese, in qualche modo, mostrava i segni della degradazione; l'industrializzazione stessa stava addirittura rovinando la natura dei beni che produceva: la birra conteneva acido solforico, il pane bianco conteneva polvere di alluminio, quello integrale risultava adulterato con patate, gesso e argilla fine, il tè veniva prodotto con foglie usate e ritagli d'arbusto, il latte allungato con acqua. Come scrisse Ralph Waldo Emerson nel 1856, "nella vera Inghilterra tutto è falso o finto". Ruskin aspirò ad una società tesa a produrre cose sane e oneste in un ambiente sano e onesto, una società capace di offrire lavoro in un ambiente esteticamente umano. In questo ideale economico-estetico, le Alpi, per Ruskin rappresentavano l'ultimo luogo esteticamente piacevole.
Le visitò per la prima volta a tredici anni e continuò a frequentarle per tutta la vita. Le Alpi, per lui, furono "l'inizio e la fine di ogni scenario naturale" (R. Clark, Victorian Mountaineers, Batsford, London 1953, p. 35). Fece pochissime scalate: alcuni passi e qualche picco più accessibile. Compì numerose e acute osservazioni. Dipinse e descrisse ciò che vide. La sua influenza fu enorme. Fu un geologo dilettante, ammiratore di Saussure e di Forbes. Incontrò Forbes da giovane, nel 1844, e ne divenne un fervente sostenitore. Considerò le Alpi come uno "sfondo non solo per un particolare contesto di esperimenti, ma per ogni esistenza degna di essere vissuta" (Clark, Victorian Mountaineers, p. 35)
Come detto, Ruskin si astenne dal fare scalate. Valicò alcuni passi ma li trovò deludenti. I suoi momenti più felici furono quelli trascorsi ai piedi dello scenario alpino. "Tutte le migliori vedute dei colli si hanno dal fondovalle" (J. Ruskin, Letters, 1870-1889, George Allen, London 1909 (Library Edition, vol. XXXVII), p. 142. Ruskin rese le Alpi l'incarnazione del sublime e lo fece soprattutto in Modern Painters, opera in cinque volumi pubblicata negli anni 1843-1860:
"La cosa più grande compiuta da un'anima umana a questo mondo è vedere qualcosa e raccontare in modo semplice ciò che ha visto. Per una persona che sa pensare ce ne sono centinaia capaci di parlare, ma per una che sa vedere ce ne sono migliaia capaci di pensare. Vedere con chiarezza è poesia, profezia e religione tutte nello stesso momento" (W. Kemp, The Desire of My Eyes, HarperCollins, London 1991, p. 258). Ruskin, sulle Alpi e sulle montagne trovava un elemento spirituale che non si trovava più nella maggior parte delle zone accessibili e i suoi scritti ispirarono i lettori a pensare alle Alpi in termini semireligiosi e trascendenti. Sulle Alpi centrali - dal Monte Bianco a ovest al Wetterhorn a est, fino al Cervino a sud - egli stese la sua tovaglia d'altare. Con Ruskin, questa regione, che per i pellegrini del passato era stata soltanto un ostacolo, divenne ora essa stessa meta di pellegrinaggio per cristiani, agnostici ed esploratori.

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