domenica 30 luglio 2017

Marmolada - Punta Penia (3343 m.)

Il Lago di Fedaia visto dalla funivia per il Pian dei Fiacconi
Dopo quattro giorni di passeggiate in Val di Fiemme, al Passo Oclini, tra lo Schwarzhorn (o Corno Nero, 2439 m.) e il Bletterbach (il Canyon sotto il Corno Bianco), il 26 luglio 2017 ci si decide finalmente per la Marmolada, la Regina delle Dolomiti, il Gruppo montuoso più alto, tra la Val di Fassa e la Val Pettorina. Così come lo Schwarzhorn, anche la Marmolada, nel 2009, venne inserita nella Lista dei Beni UNESCO (furono in totale 9 i sistemi dolomitici iscritti alla Lista "Bene Dolomiti UNESCO") e dichiarata Patrimonio dell'Umanità, un bene di tutti. Convinti dunque che essa in qualche modo appartenga anche a noi, puntiamo questa montagna che deve il suo nome al latino marmor, "marmo", o dalla radice greca marmar, "splendere, scintillare", in riferimento, ovviamente, al suo ghiacciaio sommitale. Diversi sono i punti di accesso alla Punta Penia, la più alta del Gruppo (dalla valle Ombretta o dalla Valle del Contrin), ma il più accessibile resta quello che parte dal Lago di Fedaia (oltre Canazei, al fondo della Val di Fassa) e sfrutta la funivia che dalle sponde del lago (2053 m.) raggiunge il Pian dei Fiacconi, dove è ubicato il suo omonimo Rifugio. In 25 minuti circa, dunque, la funicolare composta da curiosi cestelli per 2 persone in piedi, ci conduce a quota 2626 m.
L'arrivo della funivia al Rifugio Pian dei Fiacconi
Lassù, ai piedi del ghiacciaio in declino della Marmolada, trascorriamo la notte in rifugio alternando pensieri funesti sul clima incerto e nebbioso e faticose digestioni di polenta, funghi e vino rosso. Pensieri inutili, spazzati via al mattino da un cielo quasi terso ed un'abbondante colazione. All'uscita dal rifugio, dopo un'occhiata al Piz Boè, il freddo ed il vento ci accompagnano giù lungo la traccia che corre alla base del rifugio e che, perdendo almeno 200 m. di quota, ci porta tra bianche morene e pietraie verso la via ferrata della Cresta Ovest, posta sulla sommità del ghiacciaio Vernel, in direzione della Forcella della Marmolada. Intirizziti dal freddo, dunque, scendiamo lungo il sentiero di detriti numero 606 seguendo i bolli rossi-bianchi ed i numerosi ometti fino ad aggirare uno sperone roccioso che ci introduce nella conca glaciale. Risaliamo la conca tenendoci leggermente sulla destra per non perdere ulteriormente quota fino al bordo di ciò che rimane del ghiacciaio. Da qui, con picca e ramponi, percorriamo il traverso abbastanza compatto procedendo in leggera salita.
Verso il ghiacciaio del Vernel
Giunti al termine della vedretta, e tolti i ramponi, ci prepariamo ad affrontare la ferrata montando imbrago e moschettoni. Qualche minuto di salita lungo le placchette inclinate del fianco orientale del Piccolo Vernel e siamo sulla forcella della Marmolada (2896 m.). Lo sguardo può ora finalmente spingersi giù per il canalone detritico del versante Nord che conduce alla Valle del Contrin ma anche soffermarsi sulle tracce di storia qui scolpite sulle pareti della montagna. Troviamo infatti un antico rifugio di guerra scavato nella roccia, a testimonianza del sacrificio di molti ragazzi che si sono dati battaglia su queste pareti. Durante la Prima Guerra  Mondiale, qui correva la linea del fronte italo-austriaco e qui in molti morirono. Gli austriaci, per difendersi, costruirono una vera e propria "Città di Ghiaccio" sotto il ghiacciaio, un labirinto di gallerie, ora scomparse a causa del naturale spostamento del ghiaccio, ideato dall'ingegnere-alpinista Leo Hand, 12 km di tunnel scavati nel ghiaccio e serviti da numerosi locali in legno quali infermeria, latrine, centrale telefonica, cappella... protetti naturalmente dalle temperature molto più rigide presenti in superficie (anche -30°). Solo dopo la scoperta di questa ingegnosa opera, gli italiani riuscirono, sotto la direzione dell'ingegnere Schiavoni, a prendere le necessarie contromisure e a conquistare la strategica posizione della forcella V. Era il settembre del 1917. Tutti i reperti emersi dai ghiacci oggi sono custoditi con passione nel Museo della Grande
L'inizio della ferrata
Guerra 1915-1918 da Andrea, Dino e Sandro De Bernardin.
Dalla forcella, una serie di cambre agevola la salita su una placca 'appoggiata' che conduce a un fondo detritico dove una traccia conduce ad un costone roccioso abbastanza lungo, un costone dominato dalla presenza del Piccolo (3098 m.) e dal Grande Vernel (3205 m.). Superata una seconda serie di staffe su roccia più levigata si giunge ad una seconda postazione militare e si segue un traverso su placca in leggera salita lungo il versante Nord, facilitato da pioli vecchio stampo fino alla base di un diedro ferrato con pioli e scalette. Ogni tanto, sulle placche, troviamo i vecchi anelli arrugginiti infissi dai primi salitori che da qui scendevano in corda doppia. La prima ascensione risale al 28 settembre del 1864 ad opera del viennese Paul Grohmann, il piniere dell'alpinismo dolomitico, e delle guide cortinesi Angelo e Fulgenzio Dimai. Due anni prima, Grohmann e Pellegrino Pellegrini avevano raggiunto la Punta Rocca, di pochi metri più bassa. Prima di loro l'impresa venne tentata nel 1802 dal cappellano di Livinallongo don Giuseppe Terza e da altri quattro agordini, ma finì in tragedia: il curato, infatti, precipitò in un crepaccio e non fece più ritorno.
Il Piccolo ed il Grande Vernel
Risalita la placconata inclinata, percorriamo le facili roccette tenendoci al cavo come corrimano ed affrontiamo un'altra serie di pioli su una placca piuttosto levigata fino ad una cengia rocciosa dalla quale ha inizio l'ennesima serie di cambre. Poi, ancora una cengia, più detritica, un'altra serie di cambre, un paio di curiose griglie metalliche inchiodate alla roccia, altri passaggi su facili roccette, fino all'arrivo su un comodo pulpito naturale. Da qui la via si inerpica molto più in cresta di quanto fatto finora. Si perde un po' di quota su una selletta e si prosegue sul filo di cresta grazie ad un sentiero attrezzato su facili roccette, parzialmente detritico, in direzione del nevaio sommitale. Le mani gelate dalle raffiche di vento e la vista del ghiacciaio ci riportano alla mente l'antica leggenda della sua formazione. In valle, infatti, si racconta di una vecchietta che, sebbene sgridata dai suoi compaesani, decise di raccogliere il fieno in giorno di festa, il 5 agosto, giorno della festa della Madonna della Neve. La notte seguente cominciò a nevicare e nevicò così tanto da formare un ghiacciaio sotto il quale, ancora oggi, giace la vecchietta con tutto il suo tablè (fienile). Dalle sue lacrime avrebbe origine il fiume Avisio che scorre lungo tutta la Val di Fassa.
La cresta che conduce al nevaio sommitale
Non resta che percorrere gli ultimi metri procedendo sul nevaio fino alla Capanna Marmolada e, poco oltre, alla croce di vetta. Arriviamo poco prima delle 11, al termine di 3 ore circa di ascensione. Il panorama, neanche a dirlo, è stupendo: la vicina Punta Rocca, il Piz Boè, il Gruppo del Sassolungo, il lago delimitato ad Est dalla cresta Padon... Dopo le foto di rito, il freddo gelido della quota e dei temporali dei giorni precedenti ci spinge nella Capanna dove veniamo accolti da un caffè caldo ed un fetta di torta al cioccolato.
Per il ritorno, considerato lo stato crepacciato del ghiacciaio e l'inadeguatezza dei nostri ramponi, decidiamo di ripercorrere a ritroso la Cresta Ovest, una scelta che ci porta ad incrociare almeno una cinquantina di escursionisti russi e polacchi in salita dal Pian dei Fiacconi. Scesi dunque giù per la conca glaciale del Vernel e affrontati gli ultimi 200 m. di dislivello persi la mattina per ritornare al Pian dei Fiacconi, riguadagnamo la funivia per scendere al Lago di Fedaia, il miglior punto di osservazione di questo enorme bacino idrico lungo 2 km e con una diga di 620 m. e alta quasi 60.
Alla croce di vetta
Termina qui la nostra escursione dolomitica su un 3000 che, a dir la verità, non è composto di dolomia bensì di calcari grigi molto compatti derivati da scogliere coralline (il calcare della Marmolada) con inserti di materiale vulcanico.

E ora un suggerimento: scendendo con l'auto dal Lago giù per i tornanti che conducono a Canazei, fermatevi in una delle piazzole panoramiche che permettono a noi comuni mortali di ammirare comodamente la verticalità della parete Sud della Marmolada, la mitica "parete d'argento", seconda solo alla Nord-Ovest del Civetta, e provate a sognare le imprese di quei cavalieri antigravitazionali della roccia che, fin dagli anni 50, affilarono le unghie e scalarono l'impossibile.

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