Tratto dal Diario del Gran Paradiso (Fògola editore) di Anacleto Verrecchia, guardaparco durante gli anni Cinquanta:
Chantel, 2 ottobre 1950
Re delle Alpi: cosí è stato definito lo stambecco. Nonostante il nome, di origine chiaramente tedesca (Steinbock), si tratta di un re tutto nostro. Gli stranieri ce lo invidiano: forse questo fiero cornuto ci rappresenta meglio di tanti papaveri della politica e della vita ufficiale. In un paese di lacché e di pappataci come il nostro, lo stambecco è l’unica figura veramente nobile e fiera. Lo dimostra già il fatto che non si è mai lasciato addomesticare, come se avesse a disdegno gli uomini e il basso mondo. Chissà che la natura non lo abbia posto in Italia per legge di compensazione. Morirebbe di fame, piuttosto che scendere a valle e limosinare il cibo dalla mano dell’uomo, per il quale è difficile dire se abbia piu disprezzo o diffidenza.
Ama stare in alto, nel suo regno; e se lo si porta oltre i confini, in Francia o in Svizzera, cerca di ritornare in Italia, dove pure è stato sempre cacciato e perseguitato. Cosí paga a caro prezzo il suo amor di patria. Ma questo non vale solo per lo stambecco. I maschi si disputano la femmina a cornate, i cui colpi si sentono a notevole distanza. Chi vince diventa non solo il gallo della Checca, ma anche il capo della tribú. Forse anche gli uomini, una volta, si disputavano le donne a cornate, cosa del tutto naturale; ma poi, in nome del progresso, hanno preferito risparmiarsi le corna e ricorrere ad altri mezzi di persuasione, come il danaro, la posizione sociale e i titoli. Quale dei due mezzi è migliore? Quello usato dagli stambecchi ha permesso loro di sopravvivere alle ere glaciali, mentre noi uomini sembriamo tutti dei pallidi ceri pasquali. La forza e la robustezza dello stambecco sono formidabili. I piu grandi, le cui corna superano il metro di lunghezza, possono pesare anche centoventi chili.
Due uomini, mi dice Guidi, non riuscirebbero a tenere per le zampe posteriori uno di questi stambecchi. Quanto al freddo, che qui diventa micidiale, soprattutto ai piedi della Grivola, essi neppure l’avvertono. E quando urla la tempesta, apportando onde minacciose di vento e neve, essi restano immobili come se niente fosse e non si curano minimamente della furia degli elementi. Lo stambecco è anche cavalleresco. Quando, per esempio, il gruppo si sposta da una valle all’altra, mettiamo dalla Valsavara alla valle del Nomenon, a fare da battistrada sulla neve e quindi da capo gruppo è sempre l’individuo piú robusto. Anzi lo pretende. I piu piccoli o i piu deboli, ammesso che qui si possa parlare di deboli, vengono dopo. Marciano in fila indiana. Può anche capitare che gli individui piu robusti si diano il cambio nel battere la pista. Altra cosa degna di nota circa il carattere dello stambecco: quando è vecchio e avverte di essere ormai vicino alla fine, si isola e va a morire in disparte con la dignità di uno stoico. È come se avesse il pudore del male e non volesse farsi vedere dagli altri durante l’agonia. Una creatura siffatta merita il massimo rispetto.
Anacleto Verrecchia
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