Il 20 agosto 2023, nel primo pomeriggio, sono stato in Val Formazza. Poco prima della frazione di Riale, essendo di domenica, un tizio mi impone di lasciare l'auto su un pratone per soli 5 euro: per la diga di Morasco c'è la navetta, un pulmino da 9 posti che passa ogni 20 minuti e lascia la gente sotto la diga. Non ho alternative e accetto.
Con pochi passi salgo sulla diga e la percorro per poi costeggiare il lago di Morasco sulla destra (la sponda nord) su sterrato fino ad una funivia privata dell'Enel. Imbocco il sentiero G00 in direzione nord-ovest (dai cartelli sembra la scelta obbligata) che consente il superamento del costone erboso che conduce ai piani superiori, fino ad un bivio.
Qui una palina (ce ne sono davvero tante in Val Formazza) mi invita a lasciare il sentiero per il Rifugio Città di Busto, a scendere di qualche metro su un baitello, superare il ruscelletto e a risalire a sinistra una dolce pietraia che diviene nuovamente sentiero tra spalle pratose e dossi erbosi, fino agli edifici del Rifugio Mores, presso la diga del Sabbione.
A questo punto, dopo essermi ben rifornito d'acqua ad una fontanella con il cartello "potabile", scendo a destra fino agli edifici di servizio dell'Enel e percorro tutta la diga sotto il sole pomeridiano di questo caldissimo agosto. Al termine della diga, un bel sentiero sulla sponda orografica sinistra, il G39, consente di superare il bacino artificiale in leggera ascesa fino al Rifugio Claudio e Bruno di quota 2710, uno dei due rifugi gestiti magnificamente dai volontari dell'OGM (Operazione Mato Grosso).
Ad attendermi, 11 fra adulti e ragazzi e qualche ospite come me. Qui, finalmente, levo gli scarponi, mi godo il fantastico panorama serale sul ghiacciaio del Sabbione. In attesa della cena, rileggo le parole di Battistino Bonali (scalatore deceduto nel 1993 sul in Perù) stampate sulle tovagliette di carta del rifugio:
"Grazie Montagna per avermi dato lezioni di vita, perché faticando ho imparato a gustare il riposo, perché sudando ho imparato ad apprezzare un sorso di acqua fresca, perché stanco mi sono fermato e ho potuto ammirare la meraviglia di un fiore, la libertà di un volo di uccelli, respirare il profumo della semplicità; perché solo, immerso nel tuo silenzio, mi sono visto allo specchio e spaventato ho ammesso il mio bisogno di verità e amore, perché soffrendo ho assaporato la gioia della vetta percependo che le cose vere, quelle che portano alla felicità, si ottengono solo con fatica e chi non sa soffrire mai potrà capire".
Il mattino seguente, il 21 agosto, dopo un'abbondante colazione, prima delle 8 sono già sul sentiero che parte da dietro la fontana del Rifugio, in direzione nord. Dopo il primo dosso erboso, il terreno diviene detritico, il sentiero si fa perfino sabbioso e la salita subito ripida e dura. Cammino in compagnia di alcuni volontari in servizio al Rifugio 3A. Il tracciato si mantiene sempre ben evidente, fra sfasciumi, roccette, ghiaioni, fino allo scollinamento del ghiacciaio del Gries, a sinistra di una grande sella. Da qui, per la prima volta, vedo la cima (ed il motivo per cui si chiama Corno Cieco). A questo punto, seguo la cresta ed affronto gli ultimi ripidi metri su fine detrito che conducono alla vetta. In cima al Blinnenhorn, in meno di un'ora e mezza dal Rifugio, trovo finalmente una croce di legno, un altare di pietra ed un piccolo manufatto del CAI di Cermenate recante una poesia di Antonella Fornari:
"... la mia casa è quassù fra lo sconfinare delle vette e i racconti del vento... la mia casa è quassù fra le altere pareti e misteriosi silenzi... la mia casa è quassù fra garrule acque e dolcissimi ricordi. Qui sono io, qui è la mia casa, qui sono le mie montagne".
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